Archivio
Archivio aggiornato a febbraio 2023
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Mettere, ritrovare o plasmare le proprie radici, strappare allo spazio il luogo che sarà vostro, costruire, piantare, appropriarsi, millimetro dopo millimetro, di una casa propria: appartenere interamente al proprio paese, sapere di essere delle Cevenne, diventare del Poitou.
ALTERNATIVA
NOSTALGIA (E FASULLA)
George Perec
“Oppure: avere solo i vestiti che si portano addosso, non conservare niente, vivere in albergo e cambiarlo spesso, e cambiare città, e cambiare paese; parlare e leggere indifferentemente quattro o cinque lingue; non sentirsi a casa propria in nessun luogo, ma bene quasi ovunque”.
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La presenza reale sarà nell’impronta lasciata non nella presenza, ma nella traccia.
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La presenza reale sarà nell’impronta lasciata non nella presenza, ma nella traccia.
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Mi viene in mente in signor Nof, Nannetti Oreste Fernando, lui ha vissuto un momento importante della sua vita nel manicomio di Volterra. Quel luogo aveva un’influenza su di lui, sulla sua vita. Secondo me anche lui aveva un’influenza molto importante su quel luogo li. Lui è diventato il manicomio di Volterra, e anche il manicomio di Volterra è diventato lui. È da allora che secondo me l’essere umano che non è eterno può essere anche eterno, con l’influenza che ha nei luoghi in cui abita.
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Spesso, se penso ai luoghi in cui ho abitato, o abito che tutt’ora abito, mi vengono in mente tanti posti diversi… mi viene in mente la casa dei miei nonni, la spiaggia in cui andavo sempre da bambina, il cortile della mia scuola elementare, i luoghi in cui ho viaggiato, la cucina di San Gallo, anche la mensa del DSU, e ne potrei dire tanti altri. Ciò che hanno in comune questi luoghi è il fatto che li sento miei, li abito, che sia fisicamente, nel passato o nei ricordi, nella mia mente; sono i miei posti.
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Quando ho iniziato a pensare a quale potesse essere la risposta a questa domanda mi sono venute in mente le città. Ho pensato che le città, nonostante siano i posti per eccellenza da abitare, sono quelle che in realtà si lasciano abitare di meno, offrono spazi e tempi da riempire. Una città offre spesso una casa da riempire, pareti da riempire; spazi da riempire di cose e tempo da riempire di impegni. È più difficile abitarla, creare una relazione con lo spazio che offre la città.
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Quindi, pensando a questo, ho pensato che l’abitare per me vuol dire avere una relazione con un luogo, di condizionamento non forzato, ma dolce. Nel senso che le due cose si modificano reciprocamente, la persona e il luogo. In questa relazione, che è quella dell’abitare, c’è spazio per il vuoto. Quando si abita un posto non si ha paura del vuoto, non si ha la necessità di riempire. E in questo vuoto, che non si deve necessariamente riempire, si dà spazio a quella che è la relazione più autentica e armonica. Dove le cose si compenetrano e dove si creano anche dei legami. È una questione di armonia tra l’individuo e il luogo.
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In generale potrei dire che abitare un luogo è prendere qualcosa dal posto in cui si vive. Essere influenzati dal luogo che inevitabilmente ti porta a determinare la tua qualità di vita. Se un posto è più verde, meno verde, con i palazzi più alti o più bassi. Io preferisco una città verde che non abbia palazzi troppo alti, perché mi piace guardare il cielo mentre cammino. Significa essere influenzati da questo luogo e influenzarlo. Perché il nostro comportamento in un determinato luogo va a influenzare le cose. Dal rispetto per l’ambiente ai rumori prodotti.
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Per me non si vive un solo luogo, per me i luoghi che si vivono sono molteplici, in base ai periodi della vita che si stanno vivendo. Sono come una piccola zona di comfort dove si può crescere e dove si possono sviluppare gli stimoli che si colgono dall’esterno. È trovare una casa, un senso di appartenenza, è trovare un piccolo spazio dove sai di essere al sicuro. Dove sai di poter tornare, ecco. Riuscire ad avere una piccola zona che è sotto il tuo controllo.
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Un’altra cosa che ho pensato è il fatto che adesso si stia quasi smettendo di vivere lo spazio, almeno a livello quotidiano. Lo spazio ovviamente in tutto l’arco della storia delle città è sempre stato manipolato, usato, modellato, rispondendo comunque a forze e impulsi molto diversi. Però pensare “fare lo spazio” è molto diverso dal viverlo. Spesso noi abitiamo un posto ma non ci interagiamo per niente, ci muoviamo solo nello spazio. Invece sarebbe bello fermarsi nello spazio e viverlo concretamente. Sedersi nelle panchine, sulle scale, usare le piazze, usare le vie. Adesso invece sulle scale non si può stare, e togliamo le panchine, e mettiamo divieti, regole. Chi lo ha detto che lo spazio non può essere usato? Che non c’è un altro modo per usare lo spazio e soprattutto che lo spazio non può essere usato in modo comunitario?
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*in risposta alla domanda
“Tell us a memory that brings you back home”
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*in risposta alla domanda
“What do you expect from the space of your living?”
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Decoration can be also important, surround yourself with things which makes you feel like home.
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*in risposta alla domanda
“What’s your relationship with the geography of the places you live in?”
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In the UK there’s lots of sea but not much forest where I’ve lived.
Other places… Well, cherries and wonders exist everywhere, and I know. I’m going home soon, but the drawbacks don’t help me too much.
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30. Mi piace vivere in armonia con il posto e provo ad apprezzare tutte le meraviglie della natura!
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Decoration can be also important, surround yourself with things which makes you feel like home.
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33. Ho un buon rapporto perché la
Liguria è il paradiso terrestre per me. Mare, monti, campagne, tanti canarini e volatili che cantano, c’è tutto.
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35. I try to connect (feel, sentire) as much as I can the nature of the place (trees, fiume, montagna, mare, stones) and I try to guardare (looking, paying attention) to the building and constructions of the humans of the places, as this also talks about the place. Also the graffitis and the things written in la strada are very important.
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38. I always search for places with nature, where you can see plenty of green areas. I live most of my life near the ocean, so it’s also very important for me to be near water in any form, sea, river, or lakes. And finally the sun, sun is vital for my well being.
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Li rimarrà sempre la mia ombra.
Ma poi cosa significa “sentirsi a casa”? C’è una parola indonesiana per questo, è sentirsi ‘senang’ – in pace.
Forse è così: vivere in un luogo particolare è vivere in pace, con se stessi e con l’ambiente.
Un contadino che conoscevo in Francia mi ha detto una volta “se non riesco a vedere il campanile del mio villaggio, mi sento infelice” – era davvero a terra. Ma al contrario, McKenzieWark scrisse che “non abbiamo più radici, abbiamo antenne”.
Sono sicuro di non aver risposto alla sua domanda!
Come molti, sono uno studente fuori sede, non abito più “casa mia” da diversi anni ormai, e da allora mi pongo sempre cosa significhi casa per me, e cosa significhi abitare. Credo che abitare uno spazio sia lasciare segni in un dato luogo, segni carichi di significato, di simboli, dove scriviamo e veniamo scritti. Abitare uno spazio significa lasciare e prendere. Significa dialogare. E più si entra in profondità con lo spazio più lo si abita. Abitare vuol dire esporsi, rendersi fragili, e per questo anche chiedere riparo, rifugiarsi, aprirsi al mondo.
Scrivere per me è da sempre un esercizio per abitare un luogo, per riflettere su questo; è un modo per riuscire ad entrare in profondità tra le cose che vivo. La scrittura per me è un modo di modellare il mondo, di scolpirlo, attraverso segni e significati; significa tracciare memorie, sentieri mentali di intrecci e relazioni. Significa abitare con attenzione, cura, ricerca.
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per sentirsi a casa
si deve avere il cielo
sopra la testa.
Ogni tanto
per sentirsi a casa
si deve cercare il mondo
sotto un fiore.
Un abbraccio semplice
della terra, di un fiore,
il vento tra le mani,
il canto dei gruccioni
come una punta di nuvola
nel vasto orizzonte.
Stendere alcuni miei oggetti, o la loro rappresentazione, è un rito di preparazione prima di ogni viaggio; un momento di riflessione sul ruolo e i ricordi a loro legati.
Il mio corpo riempie e abita lo spazio.
Diventa il mio posto, il mio spazio vitale, il mio movimento, il mio esistere in un corpo con un suo peso, un suo volume e una sua consistenza.
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Per me “spazio” è il territorio che circonda la mia casa di Torino. Mentre la casa è ferma nel tempo, lo spazio intorno cambia e si evolve. L’evoluzione dello spazio condiziona il mio modo di abitarlo e richiede continui adattamenti. A volte lo migliorano, a volte lo peggiorano. L’avanzare dell’età rende meno duttili e disponibili ai cambiamenti. La mia vita di relazione è multiforme e composita: volontariato, associazionismo, assistenza, rapporti amicali, esercizio fisico in compagnia, azioni pratiche per migliorare il territorio. Quindi la mia vita personale è una delle tante storie del mio quartiere e sono quindi molto interessata alle storie degli altri.
Rispondo alla vostra domanda:
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È caduta una goccia di pioggia e ha trovato terreno fertile per germogliare.
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ho appena concluso la lettura del libro “Abitare la prossimità” (E. Manzini). Dove non si parla solo, ma anche di spazio. E dove al termine abitare viene dato un significato molto preciso: abitare come prendersi cura di ciò che ci è vicino, lo spazio di prossimità appunto, nei modi che più ci corrispondono per interessi, competenze, curiosità… Ma per me cosa significa abitare lo spazio? Innanzi tutto quando penso allo spazio non penso solo a quello del quotidiano, quello consueto, che utilizzo abitualmente. In questo momento sono in vacanza, in uno spazio che non conoscevo e che non so se mi capiterà ancora di abitare. Di sicuro in questi giorni l’ho abitato, ho cercato cioè di coglierne gli aspetti singolari e di interpretarli: ho cercato di trovare e di dare a questo spazio un significato, rispetto ad altri spazi ed al momento specifico della mia vita. Perché ogni spazio ha caratteristiche, non solo formali, che lo rendono unico: un po’ come le persone, e come con le persone, noi stabiliamo con lo spazio un rapporto che dipende anche dalle circostanze, dalla nostra volontà e capacità di rapportarci con esso. Allora la prima cosa importante per abitare uno spazio è desiderare di mettersi in relazione con tutti i suoi aspetti, funzionali e formali, sociali e culturali. Poi se, come in questo caso, è uno spazio che abito “di passaggio”, il mio sarà certamente uno sguardo curioso, che si soffermerà con attenzione sugli elementi paesaggistici, ma sarà comunque anche uno sguardo un po’ “dall’esterno”, che nota non sentendosene davvero parte. Abitare un luogo per un breve periodo non permette di fare quello che dice Manzini, cioè il prendersene cura. Si può giusto cercare di essere rispettosi delle sue caratteristiche, banalmente non lasciare in giro spazzatura. Più complesso è l’abitare lo spazio per molto tempo, per decenni e addirittura tutta la vita. C’è il rischio di cadere nell’abitudine e di non guardare più, di non relazionarsi e considerarlo uno sfondo fisso e alla fine indifferente. Eppure non è così: una strada diventa a senso unico, un negozio chiude e un supermercato apre, un isolato viene pedonalizzato, tirano su una casa nuova. La città, il suo spazio che si frequenta quotidianamente, cambia e si potrebbe neanche accorgersene. Con lo spazio del quotidiano alla fine si può però avere un rapporto di cura: me ne interesso e provo a dare il mio apporto al suo miglioramento, per ridurre l’inquinamento, aumentare il verde, renderlo più accogliente. Lo abito. Ovviamente confrontandomi con altre persone e altre associazioni del quartiere, osservando, discutendo e proponendo magari ai decisori politici degli interventi. In questa direzione vanno i diversi opuscoli sulla città che come “Donne per la difesa della società civile” abbiamo prodotto, e il lavoro attualmente in corso sulla città dei 15 min., che è un modello di città su cui la pandemia ha portato la riflessione, e che noi ci siamo impegnate prima ad approfondire e poi a divulgare. Perché pensiamo risponderebbe meglio alle diverse esigenze dei cittadini, e migliorando la vita degli abitanti migliorerebbe la città, anche il suo spazio. Credo quindi che abitare uno spazio sia innanzi tutto ri-conoscerlo, e, a seconda delle circostanze, contribuire a “ farlo star bene”, per farci “stare bene”.
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-La perdita: Il senso di vuoto o il senso di pieno che è stato perso, quindi la voglia di ricolmarlo;
-La mimesi: Come il tuo corpo, o quello che stai vivendo, può aderire al luogo che stai abitando;
-La ritualità: È parte dell’idea futura del tuo possibile abitare. Atteggiamento mimetico verso un luogo, colmare ciò che è stata la perdita attraverso un lavoro di memoria.
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Mettere, ritrovare o plasmare le proprie radici, strappare allo spazio il luogo che sarà vostro, costruire, piantare, appropriarsi, millimetro dopo millimetro, di una casa propria: appartenere interamente al proprio paese, sapere di essere delle Cevenne, diventare del Poitou.
ALTERNATIVA
NOSTALGIA (E FASULLA)
George Perec
“Oppure: avere solo i vestiti che si portano addosso, non conservare niente, vivere in albergo e cambiarlo spesso, e cambiare città, e cambiare paese; parlare e leggere indifferentemente quattro o cinque lingue; non sentirsi a casa propria in nessun luogo, ma bene quasi ovunque”.
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La presenza reale sarà nell’impronta lasciata non nella presenza, ma nella traccia.
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La presenza reale sarà nell’impronta lasciata non nella presenza, ma nella traccia.
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Mi viene in mente in signor Nof, Nannetti Oreste Fernando, lui ha vissuto un momento importante della sua vita nel manicomio di Volterra. Quel luogo aveva un’influenza su di lui, sulla sua vita. Secondo me anche lui aveva un’influenza molto importante su quel luogo li. Lui è diventato il manicomio di Volterra, e anche il manicomio di Volterra è diventato lui. È da allora che secondo me l’essere umano che non è eterno può essere anche eterno, con l’influenza che ha nei luoghi in cui abita.
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Spesso, se penso ai luoghi in cui ho abitato, o abito che tutt’ora abito, mi vengono in mente tanti posti diversi… mi viene in mente la casa dei miei nonni, la spiaggia in cui andavo sempre da bambina, il cortile della mia scuola elementare, i luoghi in cui ho viaggiato, la cucina di San Gallo, anche la mensa del DSU, e ne potrei dire tanti altri. Ciò che hanno in comune questi luoghi è il fatto che li sento miei, li abito, che sia fisicamente, nel passato o nei ricordi, nella mia mente; sono i miei posti.
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Quando ho iniziato a pensare a quale potesse essere la risposta a questa domanda mi sono venute in mente le città. Ho pensato che le città, nonostante siano i posti per eccellenza da abitare, sono quelle che in realtà si lasciano abitare di meno, offrono spazi e tempi da riempire. Una città offre spesso una casa da riempire, pareti da riempire; spazi da riempire di cose e tempo da riempire di impegni. È più difficile abitarla, creare una relazione con lo spazio che offre la città.
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Quindi, pensando a questo, ho pensato che l’abitare per me vuol dire avere una relazione con un luogo, di condizionamento non forzato, ma dolce. Nel senso che le due cose si modificano reciprocamente, la persona e il luogo. In questa relazione, che è quella dell’abitare, c’è spazio per il vuoto. Quando si abita un posto non si ha paura del vuoto, non si ha la necessità di riempire. E in questo vuoto, che non si deve necessariamente riempire, si dà spazio a quella che è la relazione più autentica e armonica. Dove le cose si compenetrano e dove si creano anche dei legami. È una questione di armonia tra l’individuo e il luogo.
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In generale potrei dire che abitare un luogo è prendere qualcosa dal posto in cui si vive. Essere influenzati dal luogo che inevitabilmente ti porta a determinare la tua qualità di vita. Se un posto è più verde, meno verde, con i palazzi più alti o più bassi. Io preferisco una città verde che non abbia palazzi troppo alti, perché mi piace guardare il cielo mentre cammino. Significa essere influenzati da questo luogo e influenzarlo. Perché il nostro comportamento in un determinato luogo va a influenzare le cose. Dal rispetto per l’ambiente ai rumori prodotti.
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Per me non si vive un solo luogo, per me i luoghi che si vivono sono molteplici, in base ai periodi della vita che si stanno vivendo. Sono come una piccola zona di comfort dove si può crescere e dove si possono sviluppare gli stimoli che si colgono dall’esterno. È trovare una casa, un senso di appartenenza, è trovare un piccolo spazio dove sai di essere al sicuro. Dove sai di poter tornare, ecco. Riuscire ad avere una piccola zona che è sotto il tuo controllo.
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Un’altra cosa che ho pensato è il fatto che adesso si stia quasi smettendo di vivere lo spazio, almeno a livello quotidiano. Lo spazio ovviamente in tutto l’arco della storia delle città è sempre stato manipolato, usato, modellato, rispondendo comunque a forze e impulsi molto diversi. Però pensare “fare lo spazio” è molto diverso dal viverlo. Spesso noi abitiamo un posto ma non ci interagiamo per niente, ci muoviamo solo nello spazio. Invece sarebbe bello fermarsi nello spazio e viverlo concretamente. Sedersi nelle panchine, sulle scale, usare le piazze, usare le vie. Adesso invece sulle scale non si può stare, e togliamo le panchine, e mettiamo divieti, regole. Chi lo ha detto che lo spazio non può essere usato? Che non c’è un altro modo per usare lo spazio e soprattutto che lo spazio non può essere usato in modo comunitario?
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“Tell us a memory that brings you back home”
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“What do you expect from the space of your living?”
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Decoration can be also important, surround yourself with things which makes you feel like home.
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*in risposta alla domanda
“What’s your relationship with the geography of the places you live in?”
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In the UK there’s lots of sea but not much forest where I’ve lived.
Other places… Well, cherries and wonders exist everywhere, and I know. I’m going home soon, but the drawbacks don’t help me too much.
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30. Mi piace vivere in armonia con il posto e provo ad apprezzare tutte le meraviglie della natura!
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Decoration can be also important, surround yourself with things which makes you feel like home.
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33. Ho un buon rapporto perché la
Liguria è il paradiso terrestre per me. Mare, monti, campagne, tanti canarini e volatili che cantano, c’è tutto.
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35. I try to connect (feel, sentire) as much as I can the nature of the place (trees, fiume, montagna, mare, stones) and I try to guardare (looking, paying attention) to the building and constructions of the humans of the places, as this also talks about the place. Also the graffitis and the things written in la strada are very important.
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38. I always search for places with nature, where you can see plenty of green areas. I live most of my life near the ocean, so it’s also very important for me to be near water in any form, sea, river, or lakes. And finally the sun, sun is vital for my well being.
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Li rimarrà sempre la mia ombra.
Ma poi cosa significa “sentirsi a casa”? C’è una parola indonesiana per questo, è sentirsi ‘senang’ – in pace.
Forse è così: vivere in un luogo particolare è vivere in pace, con se stessi e con l’ambiente.
Un contadino che conoscevo in Francia mi ha detto una volta “se non riesco a vedere il campanile del mio villaggio, mi sento infelice” – era davvero a terra. Ma al contrario, McKenzieWark scrisse che “non abbiamo più radici, abbiamo antenne”.
Sono sicuro di non aver risposto alla sua domanda!
Come molti, sono uno studente fuori sede, non abito più “casa mia” da diversi anni ormai, e da allora mi pongo sempre cosa significhi casa per me, e cosa significhi abitare. Credo che abitare uno spazio sia lasciare segni in un dato luogo, segni carichi di significato, di simboli, dove scriviamo e veniamo scritti. Abitare uno spazio significa lasciare e prendere. Significa dialogare. E più si entra in profondità con lo spazio più lo si abita. Abitare vuol dire esporsi, rendersi fragili, e per questo anche chiedere riparo, rifugiarsi, aprirsi al mondo.
Scrivere per me è da sempre un esercizio per abitare un luogo, per riflettere su questo; è un modo per riuscire ad entrare in profondità tra le cose che vivo. La scrittura per me è un modo di modellare il mondo, di scolpirlo, attraverso segni e significati; significa tracciare memorie, sentieri mentali di intrecci e relazioni. Significa abitare con attenzione, cura, ricerca.
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per sentirsi a casa
si deve avere il cielo
sopra la testa.
Ogni tanto
per sentirsi a casa
si deve cercare il mondo
sotto un fiore.
Un abbraccio semplice
della terra, di un fiore,
il vento tra le mani,
il canto dei gruccioni
come una punta di nuvola
nel vasto orizzonte.
Stendere alcuni miei oggetti, o la loro rappresentazione, è un rito di preparazione prima di ogni viaggio; un momento di riflessione sul ruolo e i ricordi a loro legati.
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